martedì 16 agosto 2011

Le violenze

Marco: quante, dove, come, denunciate alla polizia si, no – quali conseguenze fisiche e psicologiche…

Jocelyn: la prima esperienza di violenza su di me l’ho subita quando stavo ancora con la mia magnaccia. Non ne ho mai fatto nessun cenno, quasi con nessuno, tu sei l’unico a cui l’ho detto. Ero all’Iveco.
Mi viene vicino un mezzo di quelli che servono per trasportare le auto che hanno degli incidenti stradali, gli autosoccorso. Il giovanotto che era sopra mi chiede quanto fa, io glielo dico e lui mi fa salire. Come salgo immediatamente il tipo mi afferra selvaggiamente per i capelli, che allora portavo lunghi, e tenendomi, mentre io urlavo più dallo spavento che dal dolore, a tutta velocità si dirige verso Settimo e si ferma in un posto molto buio.
Poi, sempre tenendomi per i capelli, mi diceva: “dai succhialo” e io: “per favore lasciami andare i capelli.. adesso prendo il “guanto” e te lo faccio”, e lui: “no, fammelo senza” e io: “no, non voglio..” allora sempre con una mano tra i miei capelli, con l’altra lui si è spogliato e mi ha scopato senza “guanto” godendomi dentro.
Io piangevo, piangevo, piangevo. Lui riparte e mi fa cadere giù dal mezzo e mi faccio delle escoriazioni su quasi tutto il corpo.
Fatto sta che per parecchio tempo ero diventata molto triste. Non sapevo cosa fare, combattuta dalla paura di avere contratto una brutta malattia e non sapere dove andare in quanto la mia magnaccia esercitava su di me un attento controllo.
Sul lavoro ero altrettanto triste. Guardavo tutti i clienti nello stesso modo col quale mi ricordavo il giovanotto che mi aveva violentata.
Un giorno ero con una mia amica sul pullman che mi diceva che era andata all’ospedale per ritirare il “test dell’HIV”. E io: “ma la tua magnaccia ti ha lasciato andare a fare il test?”. E lei: “ci sono andata senza che lei lo sappia”, e io: “perché sei andata a fare il test?” e lei: “così, come una visita di controllo. Sai con il mestiere che facciamo è bene sottoporsi una volta ogni tanto ad un controllo di questo genere”.
Allora ho chiesto a lei di darmi l’indirizzo dell’ospedale al quale, all’insaputa della mia magnaccia, poi mi sono recata, dopo aver lavorato e nascosto vicino all’Iveco i soldi per fare il test.
Vado all’ospedale, mi fanno tutta una serie di visite. Mi danno appuntamento dopo due settimane. Io ritorno e mi consegnano il foglio con i risultati degli esami e del test sull’HIV. Peccato che fosse in italiano che allora io non capivo. Avvicino una infermiera che parlava un po’ l’inglese e questa mi traduce a voce gli esiti degli esami e del test. Cerca di tranquillizzarmi e poi mi chiede il perché della mia inquietudine. Allora io gli racconto l’episodio di violenza che mi era capitato. Lei si commuove e la vedo piangere.
Da quel momento in poi, sono stata più tranquilla. Però non sono più salita su uno dei quei mezzi. E ce ne sono parecchi che abitualmente vengono a trovarci. Io odio quegli autisti, anche se so che non tutti possono essere come quel giovanotto che mi ha usato violenza. Quando ci penso mi viene da essere triste per cui non voglio pensarci più.

Marco: mi hai raccontato altri episodi di violenza…

Jocelyn: adesso te ne racconto uno che si è risolto con io che paradossalmente faccio “violenza” ad un cliente.
        Mi carica su una macchina (un BMW mi pare fosse) un signore molto distinto, però piccolo e striminzito. Lo porto nel mio “postotranquilo”. Gli chiedo di pagarmi. È una regola per noi, quella di farsi pagare sempre prima. E lui chiudendo le serrature della macchina, tira fuori un coltellino e mi fa: “no, anzi tira fuori tutto dalla tua borsetta e consegnamelo” e io, per niente spaventata, ma certamente intimorita: “va bene, io ti lascio tutti i miei soldi, però tu lasciami andare senza farmi niente”.
        Al che mettendo le mani dentro la mia borsetta vengo a contatto con l’asticella del mio “mascara” che era ancora aperta. Velocemente la impugno e con la mano destra gliela faccio sentire sulla gola mentre con la sinistra gli afferro la mano dove teneva il suo coltellino. Me lo faccio dare. Lo faccio scendere dalla macchina sempre minacciandolo col l’asticella del “mascara” puntata sulla gola.
Intanto gli prendo le chiavi della macchina e intanto vedo arrivare un’altra macchina con una mia amica che veniva a scopare pure lei nel “postotranquilo”. La ragazza vuole sapere cosa è successo. Glielo racconto e lei allora ricatta il mio “cliente”: “adesso tu devi pagare la mia amica se non vuoi che chiami la polizia”. Fatto sta che tutto si è risolto con 50 €. Io consegno le chiavi e la mia amica prende la targa del mio cliente dopo di che il suo cliente ci porta sul nostro posto di lavoro.

Marco: e il terzo episodio..

Jocelyn: il terzo episodio di violenza mi è capitato sempre nei pressi di Piazza Campanella. Vengo caricata da una Alfa Romeo blu. Nel “postotranquilo” il tipo in questione subito estrae dalla tasca una pistola e io a differenza dell’altra volta ho paura. Me la rivolge vicino al mio naso. È un tipo robusto.
Mi fa: “dammi subito la tua borsetta e spogliati, voglio anche i tuoi vestiti”, e io: “cosa ne fai dei miei vestiti, ti do la mia borsetta, per favore, lasciami andare..” per tutta risposta lui mi ha rifilato uno schiaffone forte, forte e mi ha lasciata andare.
Ero solo con un reggiseno e un piccolo minislip. Faceva un freddo cane, nevicava. E così piano piano cammino fino su a Via Pietro Cossa dove stazionano delle altre mie amiche alle quali chiedo di darmi i loro vestiti e i soldi per prendere un taxi con il quale me ne torno a casa.
Che vita, mio caro Marco, che vita…

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