martedì 16 agosto 2011

Epilogo – fine della storia…

Jocelyn: a questo punto, dopo averti raccontato la mia esperienza, averti fatto attraversare un po’ della mia vita, mi interesserebbe sapere un tuo giudizio, se anche a te è servito…

Marco: ti ringrazio, intanto perché mi dai la possibilità di esprimere le mie opinioni sul lavoro che abbiamo fatto insieme, che come tu dici giustamente ha permesso a questo “vecchio uomo bianco” di attraversare, di accompagnarti in questo viaggio intorno alla tua breve, contraddittoria  ma intensa vita.
        Intanto, se permetti un giudizio sul lavoro che insieme abbiamo fatto. Io penso che sia un buon lavoro. È pur vero che non sono io, non siamo noi a dover dare questo giudizio, ma altri, quelli che lo leggeranno. Però, in questi mesi, dopo aver letto con avidità storie tipo “Le ragazze di Benin City” di Claudio Magnabosco, un romanzo toccante sul suo amore per Isoke, che alla fine mi ha pure commosso, o il “Papagiro” di Antonio da Catania che è un saggio molto disincantato sulle vicende della tratta delle ragazze dalla Nigeria, mi pareva che mancasse una testimonianza fatta direttamente attraverso la voce di una ragazza come te, clandestina, che fa ancora la prostituta (e ne ha le palle piene! E vorrebbe farla finita per sempre). Con la tua richiesta di mettere nero su bianco la tua esperienza, mi hai dato questa possibilità
        Non credo affatto che abbiamo fatto un lavoro letterario. Io al massimo ho fatto nella mia vita da sindacalista, migliaia di volantini. È vero, ho una certa predisposizione per la scrittura, ho imparato nel tempo a mettere giù per iscritto le mie esperienze, però sempre riguardanti il mio lavoro. Questa era la prima volta che mi cimentavo con un lavoro di intervista, ad una donna, giovane, africana, che fa la prostituta. Devo dirti che il tutto mi ha procurato una certa emozione e tensione emotiva.
        Hai visto anche tu come abbiamo proceduto: prima ho tentato di raccogliere la tua testimonianza attraverso il computer, tu parlavi io scrivevo. Ma alla fine abbiamo convenuto che non rendeva.
Abbiamo scelto di inserire delle immagini che sono del tutto inventate, le abbiamo prese navigando su Internet un po’ qui, un po’ là. L’abbiamo fatto per facilitare il possibile lettore, convinti come siamo che è più facile memorizzare le immagini che non il testo.
Abbiamo scelto alla fine la modalità dell’intervista attraverso l’uso del registratore perché ci pare la più efficace. Poi tu hai visionato il tutto per darmi l’ok.
        Ed è chiaro che nell’intervista sono io che attraverso le domande ti ho “guidato”, però il contenuto è tutto tuo. Ed è vero che nello scriverlo si può, attraverso l’uso delle parole, del linguaggio che si usa, farlo diventare una cosa invece che un’altra. Esempio: fare all’amore, è un concetto molto chiaro, così nella lingua italiana lo è “scopare, chiavare, trombare”, l’uso di questi termini può far diventare un racconto, una storia, nel nostro caso la tua intervista, una cosa sessuale, pornografica, godereccia, ecc.
Non so cosa e come verrà interpretata. Io penso che hai fatto bene tu, ad un certo punto dell’intervista a richiamarmi ad un principio di realtà: “io voglio che venga fuori la mia vita reale, la mia vita concreta”.
Nessun giudizio, anche se ad ogni piè sospinto mi viene sempre da dire la mia, ma poi mi dico: “chi ti ha dato la patente? non ne ho titolo”, al massimo delle opinioni molto personali sulla tua storia, su di te…
Tu sai che io convivo da circa 8 anni con Joycer, una ragazza di Benin City di 37 anni, che dopo 3 mesi di strada io l’ho tolta (perché lei proprio non voleva fare il lavoro da prostituta) e che ho fatto venire i suoi 2 gemelli che hanno ormai 19 anni, sono andati a scuola e adesso lavorano. Attraverso Joycer e una certa frequentazione con alcune ragazze nigeriane e con la stessa comunità nigeriana di Torino, io conoscevo già le vostre storie. Però altro è sentirsele dire messe in fila come hai fatto tu con me.
La prima cosa che mi ha sinceramente colpito sono il primo anno di tua permanenza in Italia: le angherie a cui venivi sottoposta dalla tua magnaccia, Elisabeth.
La seconda è la riservatezza che hai dimostrato nel raccontare la tua relazione con Allen. Voglio dire che mentre per il racconto sui clienti hai usato un linguaggio più che esplicito, crudo, nel racconto che hai fatto sulla tua relazione con Allen non vi è traccia di tutto ciò. E questo va a tuo merito.
La terza considerazione deriva da un certo mio sbalordimento nello scorrere la tua storia. Si parla quasi solo di uomini, di sesso, di violenza. Salvo poi dover riconoscere che si tratta di una storia di una ragazza che fa la prostituta e quindi non vende pomodori al mercato o lavora in una fabbrica o in un bel ufficio!
La quarta considerazione è davvero di meraviglia da parte mia nei tuoi confronti, perché: nonostante le angherie a cui sei stata sottoposta (all’età che ti ritrovavi!), nonostante la fine non proprio bella della relazione con Allen, tu mantieni una gioia di vivere davvero ammirevole.
Penso che la vita di una ragazza giovane come te, in Italia per “fare i soldi” sia una grande costellazione di contraddizioni. Ma chi non ne ha. Fra le tante: la vostra tradizione africana e il modello tutto americano che vi guida alla ricerca del benessere.
I video nigeriani (in ogni casa di nigeriani che ho visitato) ho visto pile da decine e centinaia: sono delle barbose telenovela, di solito tristissime storie di vita, fatti male, ovvero storie di magie ancora più fatte male. Il tutto condito con pianti, storie strappalacrime. A fronte della vostra bella realtà tutta volta a vedere la vita in maniera positiva, con il ballo, il canto, le feste (anche in occasione della morte di congiunti!).
Il rapporto con la religione: non ho mai conosciuto un popolo così profondamente intriso di religiosità, ed è uno spettacolo per uno come me (laico e non credente) partecipare alle vostre funzioni religiose: quale partecipazione, quale festa di colori, balli, canti. Ma quale contraddizione però rispetto alle “sette” e a “pastori” del tutto fiondati verso la realizzazione del proprio business, quando non esenti dal partecipare alla tratta, come del resto mi hai detto pure tu.
Ovvero la realtà economica della Nigeria che è un paese ricchissimo, baciato non solo dal sole tutto l’anno, ma anche da Dio, per le risorse che avete specie nel vostro sottosuolo: dal gas al petrolio passando per il manganese, l’oro e un eccetera molto lungo e la vostra vita di miseria con il corollario di delinquenza endemica che anche tu mi hai raccontato durante la tua permanenza a Lagos.
La vostra cultura che ha dato premi Nobel come Wole Soyinka o Ken Sarho Wiwa o artisti famosi come Fela Kuti o Sunny Ade e i ladroni militari che da decenni si succedono ai posti di comando e di potere nel vostro paese senza che si veda un minimo di unità da parte dei popoli oppressi e in miseria (sia cristiani o mussulmani o animisti) che compongono il vostro paese per tentare di dare un po’ di giustizia e di “ordine” alla vostra nazione. Io penso che non tutto sia sempre addebitabile ai bianchi che vi hanno colonizzato e che ancora vi sfruttano. C’è eccome anche una vostra responsabilità.
Sarà per come sono fatto io, per la mia esperienza politica e sindacale (tutta nella sinistra italiana), ma io non ho mai sopportato nessun fatalismo, nessun sacro rispetto per il mito della “tradizione”. E di fatalismo invece è impregnata la vostra cultura.
Così come sono convinto che nelle tradizioni ci sia sempre qualche cosa da  preservare, da mantenere, sono però altrettanto convinto che per la stragrande maggioranza (specie in Africa) si tratta di tradizioni fatte dai maschi contro le donne specie quelle relative alla sfera della sessualità.
Mi chiedi un giudizio su di te, mi permetto di dartene uno solo “dall’alto della mia esperienza”. Tu sei una ragazza ancora molto giovane e al tempo stesso con un bagaglio di esperienza di vita molto concentrato, il che ti fa molto più adulta degli anni che ti ritrovi, sei molto indipendente, intraprendente, autonoma, intelligente e un eccetera molto lusinghiero. Il consiglio che ti posso dare è il seguente: devi imparare ad essere molto più determinata, a darti degli obiettivi e perseguirli con tenacia e ostinazione. Tu invece fai diventare importante l’ultima cosa che ti capita col rischio, sempre, di dimenticare i “fondamentali”.
Capisco che alla tua età… però tu non sei una “italo”, sei nera, africana, straniera e quindi sfortunata, non hai scampo. In Italia si dice: “hai voluto la bicicletta… e adesso pedala”, traduco: hai voluto venire in Europa, in Italia alla ricerca dei “soldi facili”, adesso hai visto che facili non sono e allora, cara mia, non ci sono scorciatoie (salvo fare la magnaccia o vendere droga!) e allora: 1° avere il permesso di soggiorno, 2° andare a scuola per imparare bene l’italiano e un lavoro che non sia pulire il culo ai vecchi o pulire le case dei ricchi italiani (lavori del tutto rispettabili, intendiamoci), 3° non pensare di fare figli immediatamente, ma tentare di godersi un po’ la vita.
Accanto a questo se posso darti un consiglio: vedi di contenere una certa tua “arroganza e prepotenza” (che attualmente ti caratterizza, come è “naturale” alla tua età) equilibrando queste tue caratteristiche con la gentilezza. Non costa niente. Ci fa sentire bene.
In fondo io penso che avesse ragione Alberto Moravia (è stato uno dei più grandi scrittori italiani) che in un libro che conservo ancora intitolato “A che tribù appartieni?” (è una raccolta di due diari di viaggi nel continente africano, una all’inizio degli anni ’60 all’epoca della prima decolonizzazione e la seconda all’inizio degli anni ’70 in compagnia di Pier Arturo Pasolini, uno dei più grandi poeti italiani) dove ad un certo punto fa la seguente considerazione: “nella psicologia di ogni africano, a qualsiasi età appartenga, ci puoi trovare l’innocenza e la barbarie, insieme” e ancora: “noi bianchi veniamo fatalmente attratti dall’innocenza che noi non abbiamo più, che perdiamo fin dai primi anni della nostra vita a contatto con la nostra cultura, tutta dedita al denaro, alla fretta, al non rispetto per la contemplazione (ergo per l’oziare), diventiamo seriosi, noiosi, mentre negli africani scorgiamo invece il gioco, l’allegria e questo ce li fa amare. È questo che chiamiamo “il mal d’Africa”.
Ma accanto a questo c’è pure la “barbarie” dei rapporti umani e nella tua storia e nelle storie di altre ragazze si tocca quasi con mano a quale livello può scendere, persino tra persone della stessa etnia o nei casi peggiori nella famiglia. Per non dire le vicende tragiche dei bambini soldato o le lapidazioni delle donne negli stati della Nigeria mussulmana.
E al tempo stesso è quanto meno sorprendente per me, la vostra quasi naturale ammirazione per i bianchi, nonostante tutte le schifezze che nel corso dei secoli vi hanno causato. Intendiamoci, per le realizzazioni dei bianchi: il dominio delle macchine. La Joycer (la mia compagna) ogni tanto affascinata da una autostrada, da un bel palazzo o da una qualsiasi altra opera dei bianchi, esclama: “Ebo bravo!”.
Non che tra i bianchi non ci sia nella loro psicologia la “barbarie”. C’è eccome, per stare al tema della tua intervista, la prostituzione, basta mandare a mente le tante storie di cui sono piene i giornali sulla tratta di ragazzine che vengono vendute, picchiate, violentate, dai paesi dell’Est, dai Balcani per sapere di quali efferatezze sono capaci senza neanche avere il contrappeso della vostra “innocenza”.
        Un mio grande compagno, amico, che oramai ha 84 anni ed è un grande saggio (è il padre dell’ambiente di lavoro in Italia) una volta mi ha detto: “guarda Marco, che chi non sa pianificare il proprio passato, non sa neanche progettare il proprio futuro” – io che sono totalmente d’accordo con lui, te la giro a te, cara Jocelyn, in forma di domanda.

Marco: però, cara Jocelyn, questa intervista occorre che sia tu a concluderla. E allora, com’è che ti è venuta in mente di raccontarmi la tua storia, cosa hai imparato, cosa ti è servita….

Jocelyn: perché mi è venuta in mente di raccontarti la mia storia. Non lo so con esattezza neanche io, forse dipenderà dal fatto che ho l’abitudine di scrivere anch’io.
Ti ho detto di quella sorta di diario che tengo. Però non pensavo che venisse fuori tutto il lavoro che abbiamo fatto. A me piace. E perché, forse, mi sono fidata di te. Tu capisci benissimo che per una ragazza come me, africana con una vita da prostituta, non è facile, non è di tutti i giorni raccontare ad un altro la propria vita. Tanto meno ad un bianco.
Rileggendo la storia che ti ho raccontato mi è venuto da pensare che i primi tempi siano ormai talmente lontani. Tutto si è svolto in maniera così svelta, così caotica.
Nonostante le angherie che ho subito stando insieme ad Elisabeth, la mia magnaccia, e nonostante tutti i problemi che una ragazza come me, sola con pochissime amicizie, ha dovuto superare, credo che alla fine di avercela fatta (almeno ad uscire da quella situazione davvero penosa). Forse è stata la mia voglia di vivere a darmi una mano. Non mi sono persa d’animo. Mi sono fatta coraggio. Ricordo ancora l’episodio di quella litigata durata tutta una notte, che feci con Elisabeth. È da quel momento in poi che un po’ alla volta mi sono “liberata” da lei.
È vero però che se mi guardo indietro una cosa è profondamente cambiata: la mia disponibilità verso gli altri (specie se uomini). Una volta lo ero in maniera quasi totale, adesso sono guardinga, sospettosa, prima di aprirmi con una persona sto a vedere bene cosa questo è in grado di darmi… il mio cuore si è fatto molto più “duro”… capisci perché non sono così gentile come vorrei..
Per ogni problema della mia vita, dai più piccoli ai più grandi, ci devo pensare solo io. Al massimo ne parlo al telefono con i miei, però loro sono e rimangono in Africa..
Attualmente la mia vita è in un momento di passaggio, vedi anche la mia storia con Allen. Sto riflettendo a cosa devo fare per il mio futuro. Voglio smettere di fare la prostituta… voglio la regolarizzazione… voglio cambiare vita…
Tu mi chiedi di uscire dal mondo della superficialità che caratterizza la mia vita attuale. Non so se esiste un altro mondo… io conosco questo: il lavoro di notte sulla strada, il Bingo, il Miami, Marian, gli amici, il negozio di parrucchiera di Elly..
Cosa ho imparato. È presto per me per trarre delle conclusioni definitive. Tieni conto che nel mio vivere quotidiano, da quando vivo in Italia tutto è sempre precario. Solo con questa casa, che ho arredato tutta io e per una certa fase della mia relazione con Allen avevo pensato ad una certa stabilità. Con Allen è finita da sette mesi. Adesso tutto è ancora in alto mare.
L’intervista mi ha fatto conoscere un po’ meglio me stessa. I miei pregi e miei difetti. Non è cosa di tutti giorni avere la possibilità di riflettere sulla propria esperienza. Di questo mi pare di doverti ringraziare di tutto cuore. Grazie Marco…

Marco: resta a me di ringraziarti e di augurarti tanta salute e tantissima buona fortuna. Ciao Jocelyn e… crepi il lupo.

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