martedì 16 agosto 2011

La mia vita come… cosa vorrei…


Jocelyn: cosa vorrei ora dalla mai vita. Vorrei per prima cosa la possibilità di regolarizzarmi. Per poter finire questa brutta vita che conduco. Se entro quest’anno ciò non avverrà penso sul serio di lasciare l’Italia. Perché io voglio tentare di nuovo l’avventura della scuola. Ebbene sì, di diventare avvocato.
E in Italia non sarebbe possibile per me. Sarebbe troppo dura. Mi conviene di più tentare in Inghilterra, per qualsiasi studio. Lì si parla la lingua inglese, la nostra lingua.
Ovviamente mi piacerebbe trovarmi un fidanzato, bianco o nero per me non fa differenza. Però un uomo non solo premuroso, ma gentile, che sappia amarmi come piace a me: romantico e con tante coccole. E per finire mi piace questa poesia che tra le tante tu mi hai fatto vedere:

Per parlare d'amore, penso adesso, ne devo fare ancora di strada.. ma sto lavorandoci imparando a trasformare il mio amore "egoista" in quell'amore che sa parlare senza bisogno di possedere o sospettare, con la pazienza che Dio mi insegna e tutta la speranza che ho.
Perchè un domani possa essere una donna migliore, che sa amare senza attendere di essere amata, che sa amare per amore dell'uomo e della vita.
Ti amo, mia Africa anche grazie a Dio che me lo insegna ogni giorno..
Semplicemente con un gesto.. la mia presenza.
Il tuo fiorellino - Jocelyn

Epilogo – fine della storia…

Jocelyn: a questo punto, dopo averti raccontato la mia esperienza, averti fatto attraversare un po’ della mia vita, mi interesserebbe sapere un tuo giudizio, se anche a te è servito…

Marco: ti ringrazio, intanto perché mi dai la possibilità di esprimere le mie opinioni sul lavoro che abbiamo fatto insieme, che come tu dici giustamente ha permesso a questo “vecchio uomo bianco” di attraversare, di accompagnarti in questo viaggio intorno alla tua breve, contraddittoria  ma intensa vita.
        Intanto, se permetti un giudizio sul lavoro che insieme abbiamo fatto. Io penso che sia un buon lavoro. È pur vero che non sono io, non siamo noi a dover dare questo giudizio, ma altri, quelli che lo leggeranno. Però, in questi mesi, dopo aver letto con avidità storie tipo “Le ragazze di Benin City” di Claudio Magnabosco, un romanzo toccante sul suo amore per Isoke, che alla fine mi ha pure commosso, o il “Papagiro” di Antonio da Catania che è un saggio molto disincantato sulle vicende della tratta delle ragazze dalla Nigeria, mi pareva che mancasse una testimonianza fatta direttamente attraverso la voce di una ragazza come te, clandestina, che fa ancora la prostituta (e ne ha le palle piene! E vorrebbe farla finita per sempre). Con la tua richiesta di mettere nero su bianco la tua esperienza, mi hai dato questa possibilità
        Non credo affatto che abbiamo fatto un lavoro letterario. Io al massimo ho fatto nella mia vita da sindacalista, migliaia di volantini. È vero, ho una certa predisposizione per la scrittura, ho imparato nel tempo a mettere giù per iscritto le mie esperienze, però sempre riguardanti il mio lavoro. Questa era la prima volta che mi cimentavo con un lavoro di intervista, ad una donna, giovane, africana, che fa la prostituta. Devo dirti che il tutto mi ha procurato una certa emozione e tensione emotiva.
        Hai visto anche tu come abbiamo proceduto: prima ho tentato di raccogliere la tua testimonianza attraverso il computer, tu parlavi io scrivevo. Ma alla fine abbiamo convenuto che non rendeva.
Abbiamo scelto di inserire delle immagini che sono del tutto inventate, le abbiamo prese navigando su Internet un po’ qui, un po’ là. L’abbiamo fatto per facilitare il possibile lettore, convinti come siamo che è più facile memorizzare le immagini che non il testo.
Abbiamo scelto alla fine la modalità dell’intervista attraverso l’uso del registratore perché ci pare la più efficace. Poi tu hai visionato il tutto per darmi l’ok.
        Ed è chiaro che nell’intervista sono io che attraverso le domande ti ho “guidato”, però il contenuto è tutto tuo. Ed è vero che nello scriverlo si può, attraverso l’uso delle parole, del linguaggio che si usa, farlo diventare una cosa invece che un’altra. Esempio: fare all’amore, è un concetto molto chiaro, così nella lingua italiana lo è “scopare, chiavare, trombare”, l’uso di questi termini può far diventare un racconto, una storia, nel nostro caso la tua intervista, una cosa sessuale, pornografica, godereccia, ecc.
Non so cosa e come verrà interpretata. Io penso che hai fatto bene tu, ad un certo punto dell’intervista a richiamarmi ad un principio di realtà: “io voglio che venga fuori la mia vita reale, la mia vita concreta”.
Nessun giudizio, anche se ad ogni piè sospinto mi viene sempre da dire la mia, ma poi mi dico: “chi ti ha dato la patente? non ne ho titolo”, al massimo delle opinioni molto personali sulla tua storia, su di te…
Tu sai che io convivo da circa 8 anni con Joycer, una ragazza di Benin City di 37 anni, che dopo 3 mesi di strada io l’ho tolta (perché lei proprio non voleva fare il lavoro da prostituta) e che ho fatto venire i suoi 2 gemelli che hanno ormai 19 anni, sono andati a scuola e adesso lavorano. Attraverso Joycer e una certa frequentazione con alcune ragazze nigeriane e con la stessa comunità nigeriana di Torino, io conoscevo già le vostre storie. Però altro è sentirsele dire messe in fila come hai fatto tu con me.
La prima cosa che mi ha sinceramente colpito sono il primo anno di tua permanenza in Italia: le angherie a cui venivi sottoposta dalla tua magnaccia, Elisabeth.
La seconda è la riservatezza che hai dimostrato nel raccontare la tua relazione con Allen. Voglio dire che mentre per il racconto sui clienti hai usato un linguaggio più che esplicito, crudo, nel racconto che hai fatto sulla tua relazione con Allen non vi è traccia di tutto ciò. E questo va a tuo merito.
La terza considerazione deriva da un certo mio sbalordimento nello scorrere la tua storia. Si parla quasi solo di uomini, di sesso, di violenza. Salvo poi dover riconoscere che si tratta di una storia di una ragazza che fa la prostituta e quindi non vende pomodori al mercato o lavora in una fabbrica o in un bel ufficio!
La quarta considerazione è davvero di meraviglia da parte mia nei tuoi confronti, perché: nonostante le angherie a cui sei stata sottoposta (all’età che ti ritrovavi!), nonostante la fine non proprio bella della relazione con Allen, tu mantieni una gioia di vivere davvero ammirevole.
Penso che la vita di una ragazza giovane come te, in Italia per “fare i soldi” sia una grande costellazione di contraddizioni. Ma chi non ne ha. Fra le tante: la vostra tradizione africana e il modello tutto americano che vi guida alla ricerca del benessere.
I video nigeriani (in ogni casa di nigeriani che ho visitato) ho visto pile da decine e centinaia: sono delle barbose telenovela, di solito tristissime storie di vita, fatti male, ovvero storie di magie ancora più fatte male. Il tutto condito con pianti, storie strappalacrime. A fronte della vostra bella realtà tutta volta a vedere la vita in maniera positiva, con il ballo, il canto, le feste (anche in occasione della morte di congiunti!).
Il rapporto con la religione: non ho mai conosciuto un popolo così profondamente intriso di religiosità, ed è uno spettacolo per uno come me (laico e non credente) partecipare alle vostre funzioni religiose: quale partecipazione, quale festa di colori, balli, canti. Ma quale contraddizione però rispetto alle “sette” e a “pastori” del tutto fiondati verso la realizzazione del proprio business, quando non esenti dal partecipare alla tratta, come del resto mi hai detto pure tu.
Ovvero la realtà economica della Nigeria che è un paese ricchissimo, baciato non solo dal sole tutto l’anno, ma anche da Dio, per le risorse che avete specie nel vostro sottosuolo: dal gas al petrolio passando per il manganese, l’oro e un eccetera molto lungo e la vostra vita di miseria con il corollario di delinquenza endemica che anche tu mi hai raccontato durante la tua permanenza a Lagos.
La vostra cultura che ha dato premi Nobel come Wole Soyinka o Ken Sarho Wiwa o artisti famosi come Fela Kuti o Sunny Ade e i ladroni militari che da decenni si succedono ai posti di comando e di potere nel vostro paese senza che si veda un minimo di unità da parte dei popoli oppressi e in miseria (sia cristiani o mussulmani o animisti) che compongono il vostro paese per tentare di dare un po’ di giustizia e di “ordine” alla vostra nazione. Io penso che non tutto sia sempre addebitabile ai bianchi che vi hanno colonizzato e che ancora vi sfruttano. C’è eccome anche una vostra responsabilità.
Sarà per come sono fatto io, per la mia esperienza politica e sindacale (tutta nella sinistra italiana), ma io non ho mai sopportato nessun fatalismo, nessun sacro rispetto per il mito della “tradizione”. E di fatalismo invece è impregnata la vostra cultura.
Così come sono convinto che nelle tradizioni ci sia sempre qualche cosa da  preservare, da mantenere, sono però altrettanto convinto che per la stragrande maggioranza (specie in Africa) si tratta di tradizioni fatte dai maschi contro le donne specie quelle relative alla sfera della sessualità.
Mi chiedi un giudizio su di te, mi permetto di dartene uno solo “dall’alto della mia esperienza”. Tu sei una ragazza ancora molto giovane e al tempo stesso con un bagaglio di esperienza di vita molto concentrato, il che ti fa molto più adulta degli anni che ti ritrovi, sei molto indipendente, intraprendente, autonoma, intelligente e un eccetera molto lusinghiero. Il consiglio che ti posso dare è il seguente: devi imparare ad essere molto più determinata, a darti degli obiettivi e perseguirli con tenacia e ostinazione. Tu invece fai diventare importante l’ultima cosa che ti capita col rischio, sempre, di dimenticare i “fondamentali”.
Capisco che alla tua età… però tu non sei una “italo”, sei nera, africana, straniera e quindi sfortunata, non hai scampo. In Italia si dice: “hai voluto la bicicletta… e adesso pedala”, traduco: hai voluto venire in Europa, in Italia alla ricerca dei “soldi facili”, adesso hai visto che facili non sono e allora, cara mia, non ci sono scorciatoie (salvo fare la magnaccia o vendere droga!) e allora: 1° avere il permesso di soggiorno, 2° andare a scuola per imparare bene l’italiano e un lavoro che non sia pulire il culo ai vecchi o pulire le case dei ricchi italiani (lavori del tutto rispettabili, intendiamoci), 3° non pensare di fare figli immediatamente, ma tentare di godersi un po’ la vita.
Accanto a questo se posso darti un consiglio: vedi di contenere una certa tua “arroganza e prepotenza” (che attualmente ti caratterizza, come è “naturale” alla tua età) equilibrando queste tue caratteristiche con la gentilezza. Non costa niente. Ci fa sentire bene.
In fondo io penso che avesse ragione Alberto Moravia (è stato uno dei più grandi scrittori italiani) che in un libro che conservo ancora intitolato “A che tribù appartieni?” (è una raccolta di due diari di viaggi nel continente africano, una all’inizio degli anni ’60 all’epoca della prima decolonizzazione e la seconda all’inizio degli anni ’70 in compagnia di Pier Arturo Pasolini, uno dei più grandi poeti italiani) dove ad un certo punto fa la seguente considerazione: “nella psicologia di ogni africano, a qualsiasi età appartenga, ci puoi trovare l’innocenza e la barbarie, insieme” e ancora: “noi bianchi veniamo fatalmente attratti dall’innocenza che noi non abbiamo più, che perdiamo fin dai primi anni della nostra vita a contatto con la nostra cultura, tutta dedita al denaro, alla fretta, al non rispetto per la contemplazione (ergo per l’oziare), diventiamo seriosi, noiosi, mentre negli africani scorgiamo invece il gioco, l’allegria e questo ce li fa amare. È questo che chiamiamo “il mal d’Africa”.
Ma accanto a questo c’è pure la “barbarie” dei rapporti umani e nella tua storia e nelle storie di altre ragazze si tocca quasi con mano a quale livello può scendere, persino tra persone della stessa etnia o nei casi peggiori nella famiglia. Per non dire le vicende tragiche dei bambini soldato o le lapidazioni delle donne negli stati della Nigeria mussulmana.
E al tempo stesso è quanto meno sorprendente per me, la vostra quasi naturale ammirazione per i bianchi, nonostante tutte le schifezze che nel corso dei secoli vi hanno causato. Intendiamoci, per le realizzazioni dei bianchi: il dominio delle macchine. La Joycer (la mia compagna) ogni tanto affascinata da una autostrada, da un bel palazzo o da una qualsiasi altra opera dei bianchi, esclama: “Ebo bravo!”.
Non che tra i bianchi non ci sia nella loro psicologia la “barbarie”. C’è eccome, per stare al tema della tua intervista, la prostituzione, basta mandare a mente le tante storie di cui sono piene i giornali sulla tratta di ragazzine che vengono vendute, picchiate, violentate, dai paesi dell’Est, dai Balcani per sapere di quali efferatezze sono capaci senza neanche avere il contrappeso della vostra “innocenza”.
        Un mio grande compagno, amico, che oramai ha 84 anni ed è un grande saggio (è il padre dell’ambiente di lavoro in Italia) una volta mi ha detto: “guarda Marco, che chi non sa pianificare il proprio passato, non sa neanche progettare il proprio futuro” – io che sono totalmente d’accordo con lui, te la giro a te, cara Jocelyn, in forma di domanda.

Marco: però, cara Jocelyn, questa intervista occorre che sia tu a concluderla. E allora, com’è che ti è venuta in mente di raccontarmi la tua storia, cosa hai imparato, cosa ti è servita….

Jocelyn: perché mi è venuta in mente di raccontarti la mia storia. Non lo so con esattezza neanche io, forse dipenderà dal fatto che ho l’abitudine di scrivere anch’io.
Ti ho detto di quella sorta di diario che tengo. Però non pensavo che venisse fuori tutto il lavoro che abbiamo fatto. A me piace. E perché, forse, mi sono fidata di te. Tu capisci benissimo che per una ragazza come me, africana con una vita da prostituta, non è facile, non è di tutti i giorni raccontare ad un altro la propria vita. Tanto meno ad un bianco.
Rileggendo la storia che ti ho raccontato mi è venuto da pensare che i primi tempi siano ormai talmente lontani. Tutto si è svolto in maniera così svelta, così caotica.
Nonostante le angherie che ho subito stando insieme ad Elisabeth, la mia magnaccia, e nonostante tutti i problemi che una ragazza come me, sola con pochissime amicizie, ha dovuto superare, credo che alla fine di avercela fatta (almeno ad uscire da quella situazione davvero penosa). Forse è stata la mia voglia di vivere a darmi una mano. Non mi sono persa d’animo. Mi sono fatta coraggio. Ricordo ancora l’episodio di quella litigata durata tutta una notte, che feci con Elisabeth. È da quel momento in poi che un po’ alla volta mi sono “liberata” da lei.
È vero però che se mi guardo indietro una cosa è profondamente cambiata: la mia disponibilità verso gli altri (specie se uomini). Una volta lo ero in maniera quasi totale, adesso sono guardinga, sospettosa, prima di aprirmi con una persona sto a vedere bene cosa questo è in grado di darmi… il mio cuore si è fatto molto più “duro”… capisci perché non sono così gentile come vorrei..
Per ogni problema della mia vita, dai più piccoli ai più grandi, ci devo pensare solo io. Al massimo ne parlo al telefono con i miei, però loro sono e rimangono in Africa..
Attualmente la mia vita è in un momento di passaggio, vedi anche la mia storia con Allen. Sto riflettendo a cosa devo fare per il mio futuro. Voglio smettere di fare la prostituta… voglio la regolarizzazione… voglio cambiare vita…
Tu mi chiedi di uscire dal mondo della superficialità che caratterizza la mia vita attuale. Non so se esiste un altro mondo… io conosco questo: il lavoro di notte sulla strada, il Bingo, il Miami, Marian, gli amici, il negozio di parrucchiera di Elly..
Cosa ho imparato. È presto per me per trarre delle conclusioni definitive. Tieni conto che nel mio vivere quotidiano, da quando vivo in Italia tutto è sempre precario. Solo con questa casa, che ho arredato tutta io e per una certa fase della mia relazione con Allen avevo pensato ad una certa stabilità. Con Allen è finita da sette mesi. Adesso tutto è ancora in alto mare.
L’intervista mi ha fatto conoscere un po’ meglio me stessa. I miei pregi e miei difetti. Non è cosa di tutti giorni avere la possibilità di riflettere sulla propria esperienza. Di questo mi pare di doverti ringraziare di tutto cuore. Grazie Marco…

Marco: resta a me di ringraziarti e di augurarti tanta salute e tantissima buona fortuna. Ciao Jocelyn e… crepi il lupo.

Una amicizia un po’ incasinata e conflittuale


Marco: se te la senti, si tratterebbe ora di parlare della tua amicizia con Marco, il tuo intervistatore..

Jocelyn: tu sei il mio attuale migliore amico, con te mi confido quasi come con Marian, tu sei intelligente, molto, molto. Mi sono affezionata a te. Ti voglio bene. Però intendiamoci, il mio non è amore. Tra me e te ci sono troppi anni di differenza. Con te ci sto bene assieme…

Marco: perché allora litighiamo spesso e sovente su delle cazzate?…

Jocelyn: due amici, se lo sono davvero devono litigare ogni tanto, se no che amicizia è..

Marco: perché non sei un po’ più gentile con me?

Jocelyn: perché forse anche tu non lo sei con me. Io rispondo rispetto alle “carte che tu mi dai”. Delle cose che di te non mi piacciono sono quelle che quando non sei d’accordo con le cose che uno ti dice, tu hai la tendenza a “coprirgli la voce”, e questo non va bene…
        Delle cose che più mi piacciono di te sono la mancanza di razzismo che io vedo in te, a differenza di Francesco per esempio che ogni tanto si lascia andare in battute davvero razziste.
Ovvero della tua storia di oltre 8 anni con la Joycer e del fatto che tu hai fatto arrivare dall’Africa i suoi due gemelli. Per questo io provo una certa ammirazione nei tuoi confronti perché non conosco altre storie così come la tua. Quelle che conosco io sono tutte storie finite male in pochi anni.
Se fossi “nelle sue scarpe”, quelle di Joycer, io ti ringrazierei tutti i giorni per quello che hai fatto. Lei è stata molto più fortunata di me. Ha lavorato pochissimo sulla strada dopo di che tu l’hai tolta dandogli una mano. La mia vita rispetto alla sua è stata maledettamente più sfortunata.
Quindi per finire penso che tu sia sul serio uno bravo, una brava persona.

Ancora semiclandestina

Marco: per le cose che hai raccontato ne viene che tu sei entrata in Italia con il passaporto. Elisabeth, la tua magnaccia te l’ha subito preso e tu sei rimasta senza nessun documento. Quando è che hai deciso di richiedere la domanda per “asilo politico” e perché…

Jocelyn: nel 2003, dopo essermi liberata della mia magnaccia, un mio amico di colore mi ha suggerito di fare la domanda per “asilo politico”. Mi ha anche suggerito di inventarmi una storia dolorosa, dove doveva comparire il motivo della mia fuga dalla Nigeria. Cosa che feci ascoltando una storia vera, di una ragazza che sul serio era dovuta scappare. Me la feci raccontare per benino.
Mi feci degli appunti e così andai prima in Via Cernaia, vicino a Porta Susa, a fare la prima coda. Da lì mi mandarono in Via Ventimiglia dove rilasciavano i permessi di soggiorno agli stranieri. E lì altra coda e altri appuntamenti dove per un po’ ci sono andata poi qualche appuntamento l’ho pure saltato. Ho dovuto prendere un avvocato e pagarlo che mi faceva un po’ di assistenza. Meno male che Francesco mi ha permesso di avere il suo indirizzo come mio domicilio.
        Poi sono stata a Roma presso gli Uffici Centrali dove rilasciano i permessi per “asilo politico”. Lì dovetti di nuovo raccontare la mia storia e mi diedero un ulteriore appuntamento a Torino. Nell’estate scorsa sono stata chiamata in Via Cernaia dove mi hanno detto che la domanda non era stata accettata.

Marco: ma dimmi un po’ come la vivi ancora adesso questa vicenda della tua mancata regolarizzazione…

Jocelyn: come vuoi che viva. La vivo male, perché tra l’altro è diversi anni che vivo in Italia e vedo diverse mie amiche che invece si sono regolarizzate.
        Non vedo l’ora di regolarizzarmi. Per cambiare la mia vita. Sono stufa di lavorare sulla strada. Di avere a che fare solo con persone che vengono con me perché sanno che faccio la prostituta. Vorrei avere una vita normale come qualsiasi altra ragazza italiana. Mi piacerebbe per esempio lavorare in un bar, o in un ristorante, o ancora di più in un negozio di abbigliamento.
        Mi piacerebbe poter andare a scuola dove magari insegnano questi lavori. E invece niente. Sempre clandestina. È proprio triste.

Marco: ok, però una prima cosa la potresti fare: il tuo passaporto per esempio..

Jocelyn: ho detto alla mia famiglia di provvedere a farmelo avere. Dalla Nigeria viene a costare di meno. Poi io so che per renderlo valido occorrerà che vada alla mia ambasciata a Roma. Però stai tranquillo che già lo sto facendo.


Marco: mi permetto di farti notare alcuni aspetti della la tua vita attuale, tu vivi di notte: lavori sulla strada, vai al Bingo verso le 11 di sera quando non più tardi, verso le 2 o le 3 vai al Miami, ecc. sono tutte abitudini che un giorno che andrai a lavorare in una fabbrica o in qualsiasi posto di lavoro normale… insomma, te lo scordi di fare questa vita…



Jocelyn: Marco, perché al Sabato o alla Domenica non devo pensare a divertirmi un po’? perché non dovrei riuscire a fare quello che altre ragazze come me, più fortunate, fanno già. E sì che anche loro hanno lavorato per anni sulla strada. Cosa hanno più di me? Io ti garantisco che se mi viene l’occasione della mia regolarizzazione io riesco a cambiare la mia vita.

Marco: e io, soldi permettendo, ti garantisco che se questo governo ripristina la figura dello “sponsor” (significa che per la regolarizzazione basterà che una persona garantisca per te), io sarò il tuo sponsor, ok…

Jocelyn: sul serio Marco, ti ringrazio proprio tanto. Tu sei bravo. Ma cosa vuoi che mi piaccia quello che ogni sera sono costretta a fare. Ti racconto un ultimo episodio che mi è successo nei primi giorni di Febbraio 2007: vado al lavoro e arrivo verso la mezzanotte e chi ti trovo sul mio posto di lavoro, due albanesi.
Dico loro che quello è il mio posto di lavoro. Al che loro con aria strafottente mi rispondono che in questa Italia loro si mettono dove più gli piace. Una di loro chiama per telefonino il loro capo il quale dopo un po’ arriva su un BMW e mi fa la faccia feroce. Al che io per niente impaurita: “non mi fai nessuna paura, di tipi come te ne ho già visti. Questo è il mio posto, da circa 4 anni. Rispondi: se io vado in Via Pietro Cossa dove stazionano le tue amiche albanesi pensi che loro mi tengano lì?” al che il tipo sgomma con la sua auto.
E così per quasi tutta la sera devo stare insieme alle due albanesi e quando si fermano le macchine dico ai clienti che loro due sono nel mio posto. Al che i clienti molto comprensivi se ne vanno lasciando a muso duro le due albanesi. Meno male che alla fine (sono quasi le 2 di notte) le albanesi si stufano e se ne vanno.
Marco, ti giuro, io non c’è l’avevo tanto con quelle ragazze. Ma dovevo difendere il mio posto di lavoro.
Ma pensa te che vita mi tocca fare.

Allen: un amore africano in Italia


Marco: parlami ora di Allen tuo amore africano in Italia… dove e quando l’hai conosciuto…

Jocelyn: era il 14 di Febbraio 2004, giorno di San Valentino, andiamo a ballare al Miami, e lì conosco Allen. Il tipo inizia subito a corteggiarmi. Ma io lo trovavo un po’ bruttino e mi pareva un “papà”. Al tempo stesso Marian invece mi diceva invece: “prova ad uscire con Allen, mi pare un bravo ragazzo”. Ma io sul momento non ci sentivo.
Ero sempre in compagnia con Marian. Quel tanto che Allen, un po’ per scherzo e un po’ per gelosia mi prendeva in giro dicendomi che con Marian avevo trovato il mio amore lesbico. Però lui era un parecchio preso per me.

Marco: di dov’è Allen… parlami un po’ della sua famiglia di origine…

 Jocelyn: Allen è di origine Ishan come me e la sua famiglia proviene da Uromi. Mi diceva che suo padre era abbastanza ricco ed era morto quando lui aveva 4 anni. Sono in tre fratelli. La madre si è risposata 3 volte. Come me anche Allen tiene degli appunti scritti, una sorta di diario e quando abbiamo fatto trasloco da Via Monginevro a Via Verolengo (dove abito tutt’ora) ho scoperto il suo diario.
        Devo dire però che all’inizio la mia era una prova. È vero che Allen mi piaceva, che stavo bene insieme a lui, perché lui era sempre molto premuroso nei miei confronti e alle ragazze piace avere vicino dei ragazzi premurosi, però non lo amavo, volevo vedere cosa poteva significare stare con uomo per conoscere l’amore.
        In fondo la nostra relazione è sempre stata un po’ conflittuale, nel senso che lui si impuntava a fare delle cose che io non condividevo e sulle quali alla fine avevo ragione io.
Ma non era questa la causa del maggior litigio tra noi. La causa principale era derivante dal suo essere completamente succube della mamma, era un mammone. Per esempio per molto tempo io non avevo detto di questa relazione con mia madre, perché io ritengo che uno deve farsi in proprio le esperienze in maniera di poter crescere. Lui, invece, tutto ma proprio tutto confidava a sua madre. Penso io, perché io non le mandavo soldi, vestiti, ecc. e lei era convinta che Allen spendesse un sacco di soldi per me. Quel tanto che una volta parlando con me al telefono sua madre mi fece capire che lei non gradiva la nostra relazione. Io invece sono dell’opinione che in una relazione ognuno spende dei suoi soldi. Capisci Marco.
Comunque all’inizio mi piaceva stare con Allen perché eravamo sempre assieme.
Mi piaceva fare un sacco di cose assieme a lui. Non sapevamo giocare a tennis, ma una volta ci andiamo. Andiamo pure a giocare a basket-ball. Comperiamo degli attrezzi ginnici da casa. Mi piaceva giocare a fare la lotta con lui. Siamo andati ad Avigliana in piscina. Era questo il momento più romantico del nostro rapporto. Io ero sempre al corrente di dove andava lui. Lui invece non sapeva dove andavo io. Pensa che ha saputo dopo circa sei mesi che io lavoravo sulla strada.
Uno dei più bei ricordi che ho riguarda il giorno di San Valentino del 2005 che lui mi porta a mangiare in un Ristorante vicino a Settimo. Poi ritorniamo a casa e passiamo la più bella notte d’amore della nostra relazione.
Io che ero più giovane lui di sei anni ero e sono molto più matura di lui. Non si dava da fare per trovare un lavoro per esempio. Sempre in casa o con gli amici a bighellonare. Ad un certo punto attraverso un mio amico bianco di nome Roberto io gli trovo pure un lavoro, in nero però sempre un lavoro. Macchè, lui ci va un po’ di volte poi non ci va più e rimane in casa tutto il giorno a dormire e poi alla sera esce e va con gli amici. Da lì abbiamo iniziato a litigare.
In pratica veniva a galla la differenza di carattere tra noi due. Io che sono orgogliosa e autonoma e che non mi va che nessuno mi mette “i piedi sulla testa”, lui invece, un individuo confuso, pasticcione che non ha una visione della sua vita, del suo futuro, uno che dipende per tutto da sua madre. Capisci.

Marco: a questo punto mi pare che tu mi debba parlare dei primi momenti di crisi della vostra relazione..

Jocelyn: tutto nasce dopo il trasloco da Via Monginevro a Via Verolengo. Allen conosce una ragazza marocchina che lavorava in un bar. Secondo me era quello che voi italiani considerate una “fraschetta”. Bella, formosa, ma con la testa vuota.
        Ad un certo punto gli chiedo perché la frequenta. Io di questa ragazza raccolgo di tutto e di più… glielo dico e lui: “non ti preoccupare, poi ti spiego” – in pratica si era convinto che lei lo potesse sposare (lei aveva la cittadinanza italiana) e così lui avrebbe avuto la possibilità di regolarizzarsi. Tieni conto che come me anche lui aveva solamente una domanda per un “permesso di asilo politico”.
        Però io vedo in lui un cambiamento. Nei confronti di persone estranee io e lui non eravamo fidanzati ma cugini che avevano scelto di convivere. Ti ricordi, questa era la balla che avevamo raccontato all’inizio anche a te.
         Con questa balla ad un certo punto Nathalie (così si chiamava la ragazza marocchina) viene un giorno a casa nostra. Si ferma e dorme insieme ad Allen.. e io che friggo. Poi arriva un’altra volta e si installa nella mia casa una settimana. Dico la mia casa, perché io avevo messo insieme i soldi per pagare la cauzione e il mese di affitto. Una mano me la desti pure tu, mia caro Marco, e ancora ti ringrazio per il prestito che mi hai fatto senza il quale questa bellissima casa di cui vado particolarmente fiera non l’avrei mai avuta.
        Al che perdo la pazienza e affronto Nathalie dicendo che Allen è il mio ragazzo. Allen che era presente ha cominciato ad urlare, insultandomi. Nathalie ad un certo punto ha voluto che fosse Allen in persona a dirmi che non mi amava più, che lui amava lei e questo davanti a lei. Ad un certo punto incazzata tendo la borsetta a Nathalie e gli dico: “fuori da casa mia” al che Allen infuriato come un toro cosa fa, mi dà della puttana e mi picchia, davanti a Nathalie. Ma pensa te.
Da quel momento in poi mi sono scoperta gelosa di Allen e ho tradotto questa mia gelosia in amore per lui. Non so quanto sia vero questo sentimento alla luce dei fatti che avverranno di lì a poco.
        Così con la morte nel cuore decido di prendere la mia roba e di andare dal mio amico Arturo. Poi pensavo: “ma quella casa è intestata a me, io l’ho arredata con cura”, quel tanto che chiunque venisse a casa mia era costretto ad apprezzare il lavoro di arredamento da me fatto. È vero tutto il mobilio è usato, però bello e mi piace. Mai in vita mia ho avuto l’occasione di avere una casa tutta mia. E così ho deciso di tornare e affrontare la nuova situazione con Allen.
        Intanto Allen aveva bisticciato con Nathalie. L’aveva vista in macchina con un’altra persona. Ed ora veniva da me piangendo e chiedendomi scusa e io (stupida) l’ho perdonato. Ma dopo una settimana punto e da capo: si era trovato un’altra marocchina! Abitava vicino a casa mia. Allen andava in giro insieme a lei. Io ero nera, nera. Capisci.
        Fatto sta che è in quei giorni che arriviamo al dunque io e Allen (siamo vicini ad Agosto del 2006). Siamo in casa e stiamo litigando di brutto. Io gli tiro contro delle cose. Lui ad un certo punto, cieco di rabbia rompe una bottiglia di Martini e con quella mi ferisce in testa, nel braccio e su un fianco. Corro all’ospedale e il medico mi guarda e mi fa: “per un pelo, mia cara, per un pelo e la cosa poteva diventare sul serio pericolosa”. Quel tanto che arrivano 5 o 6 tra poliziotti e carabinieri per sapere come mi sono ferita. Io, ci penso un attimo e decido di dire che è stata la caduta del vetro di una porta interna che mi ha ferita.
        Caro Marco, sono fatta così, avrei potuto “vendicarmi” su Allen denunciandolo. Ma poi cosa avrei ottenuto?
        Allen è scappato, siamo in Agosto del 2006. Io pensavo che fosse finito nel giro della droga. Ho saputo che era andato via con la nuova marocchina. Io volevo sapere dove era finito. Ero rimasta sola, un po’ mi mancava.
        Ad un certo punto lui mi chiama e piangendo al telefono mi chiede nuovamente scusa. Io gli chiedo dov’è, a Napoli mi risponde. Io gli chiedo se intende ritornare. E lui: “no, non ritorno più, però ti vorrei vedere ancora!”. Io parto allora per Napoli e quando lo vedo non riconosco più il mio Allen. Si è fatto scuro in volto, è più brutto. È un’altra persona quella che mi ritrovo davanti. Sembrava sofferente. In quel mentre tutta la sua mancanza, tutto quello che pensavo fosse amore per lui, sparisce come neve al sole. Così decido di tornare alla stazione e di ripartire con il treno. Cosa che è avvenuta dopo una salutare dormita in albergo il mattino seguente.
        Adesso ogni tanto mi chiama. Io non lo voglio più sentire quel tanto che ho cambiato il numero di telefonino. Adesso sto vivendo con serenità la mia esperienza da single. In pratica, e la cosa non mi fa felice, Allen mi ha lasciato un brutto ricordo della nostra relazione che sovrasta le cose positive che pure ho vissuto con lui. Capisci.
        Insomma, mi ha ferito non solo fisicamente, ma anche nel mio animo. E non mi ha dato nessuna mano. Dopo la vicenda del mio ferimento da parte sua, io per oltre un mese non ho potuto andare a lavorare e quindi a non pagare l’affitto per esempio e lui non mi ha dato una mano. Si è comportato proprio in maniera cattiva e pensare che io lo avevo perdonato. A parte l’affitto, non mi è stato per niente vicino, Marian sì che mi è stata vicina. Mi faceva la doccia, mi andava a fare un pò la spesa, mi portava all’ospedale quando avevo gli appuntamenti con i dottori, ecc.
        In pratica io il ricordo che ho di Allen è brutto. E se per caso lui volesse tornare con me io gli direi di nò. Neanche se vedessi in cielo un elicottero che porta uno striscione con su scritto “Jocelyn ti amo, voglio ritornare con te. Allen”. Neanche se mi portasse nella trasmissione che vedo sempre di Maria Defilippi “C’è posta per te”.
Così come non ho voluto che le nostre famiglie in Africa sapessero niente di questa brutta vicenda. Cosa ci avrei guadagnato e cosa ci avrebbero guadagnato le nostre famiglie dai bisticci dei loro figli. Niente. È proprio finita.
Ad oggi le sue cose rimaste in questa casa le ho messe in una grande valigia e sono in cantina.

Marco: se posso esprimere una opinione su questa vicenda… un po’ l’ho vista anch’io. Ogni tanto vi venivo a trovare, ti ricordi.
Io penso che ai ragazzi africani come Allen quando arrivano in Europa, in Italia, a contatto con una società molto più libera di quella di partenza e non più sottoposti ai vincoli della tradizione e della famiglia, li prenda una sorta di delirio di onnipotenza: si sentono di poter fare tutto e specie nei confronti delle proprie fidanzate africane. Pretendono insomma che le ragazze si comportino come se fossero ancora in Africa mentre loro sarebbe dato di comportarsi come meglio gli aggrada. Guarda come una buona fetta di loro (i maschi) si comporta con voi ragazze…

Jocelyn: è vero Marco, si fanno mantenere.. ma non nel mio caso. Io pretendevo che Allen contribuisse alle spese di casa, che lui e Kevin mi dessero una mano nel disbrigo delle faccende di casa, delle pulizie, ecc.

Kevin, un amico di Allen, un mio caro amico..


Marco: parlami ora della amicizia che hai con Kevin. Di questo ragazzo africano che vive sotto il tuo stesso tetto e questo da quando tu abitavi con Allen in Via Monginevro…

Jocelyn: all’inizio non è che fossi molto amica di Kevin. Non lavorava, un po’ come Allen. All’epoca abitava con molti altri in un’altra casa. In occasione della presenza a Torino di una sua fidanzata di Vicenza lo invitammo a casa nostra. E da lì è sempre rimasto con noi.
Ogni tanto bisticciavamo perché lui non tirava mai fuori i soldi per la casa, per il mangiare, ecc.. quando siamo venuti in questa, in Via Verolengo, gli abbiamo affittato una stanza e adesso è ancora qui con me.

Marco: parlami un po’ di lui, da dove arriva…

Jocelyn: arriva dalla zona dove arriva Allen. Anche lui è di etnia Ishan. Da sette mesi, da quando non c’è più Allen abbiamo stretto di più la nostra amicizia. Tieni conto che attualmente anche Kevin è senza una ragazza. Così al mattino quando ci svegliamo, parliamo anche di sesso, scherziamo.
        Adesso si dà da fare molto di più che una volta. Pensa che un giorno con Allen io ho bisticciato a causa di Kevin, in quanto gli dicevo che in una casa grande (oltre 80 metri quadrati) con tre ragazzi dentro (ma abitualmente c’è sempre qualcuno che ci viene a trovare) una donna non poteva bastare per le pulizie di casa. E che comunque io non lo ritenevo giusto. Non eravamo più in Africa!
      In Africa ho fatto le mie prime esperienze, però ero “piccola”. In Italia ho avuto modo di diventare donna. E io ho capito una cosa che mi piace di voi bianchi, di voi Italiani: accanto ai diritti dell’uomo c’è anche i diritti della donna. Non c’è più la differenza tra uomo e donna, e così a me piace. Capisci Marco.
        Quasi tutta la famiglia di Kevin è qui in Europa. Ha la patente internazionale, per cui ogni tanto usa la macchina della sorella (che abita a Torino) per spostarsi.
        Adesso so che siccome a differenza di me la sua domanda di “asilo politico” è stata accettata, con questo suo documento ha la possibilità di avere il Codice Fiscale, la Carta di Identità e so che sta cercando lavoro.

Amici e amori: Mariam


Marco: parlami ora di questa tua amicizia con Marian, mi pare che tu sia molto legata a questa ragazza..

Jocelyn: è vero, tra le amicizie e tra queste, quella a cui tengo decisamente di più, a cui sono legata è quella con Marian. Lei ha 4 anni più di me, ma io ritengo di essere più matura di lei.
È strano il nostro rapporto in quanto siamo una l’esatto contrario dell’altra. Io solare ed estroversa, Marian introversa e sempre incazzosa. Io credo di essere più libera di Marian. Le sue chiusure denunciano scarsa libertà da parte sua. Io non tengo mai niente dentro di me e lei invece si “uccide” dentro, come nel caso di questa sua relazione con  il suo ragazzo, un certo Johnny, un nero Ishan. Io voglio essere fedele al proverbio che dice: “un problema detto è un problema risolto a metà”. Capisci.

Marco: quand’è che l’hai conosciuta…

Jocelyn: è stato al mio ritorno da Ovada. Io vado in casa da Francesco, però mi accorgo che non mi tratta bene. Una sera usciamo da casa di Francesco con un po’ di litigio. Siamo in macchina in cinque, tra questi c’è anche Marian. Andiamo al Bingo. Poi usciamo e sento una discussione tra Francesco e un suo amico, Roberto. Realizzo che stanno parlando di me e in maniera non del tutto commendevole. Allora intervengo dicendo ad Francesco, che se non mi vuole più in casa sua è bene che me lo dica.
        Interviene anche Marian che dice a Francesco la stessa cosa e poi aggiunge: “se non ti vuole più, prendi la tua roba e vieni a casa mia”. Al che quando ritorniamo alla casa di Francesco è esattamente quello che faccio.
        Però la casa dove abitava Marian in Via Belmonte dalle parti di Corso Vercelli non era delle migliori. Muffa dappertutto e in più abitavamo in sei! Però altro non avevo per le mani.
E così è iniziata questa amicizia con Marian. Dopo pochissimo tempo mi pareva di conoscerla da tantissimo. Gente che la conosceva mi diceva che era scorbutica, maleducata, che non sapeva esprimersi e in parte poteva essere vero. Dal canto mio rispondevo che per quanto la conoscevo era una ragazza buona. Marian ha un suo modo di esprimersi che può sembrare duro, antipatico. Gli deriva da un difetto che ha contratto da bambina balbuziente. È vero però che ha un suo caratterino. Ci siamo scambiate i nostri piccoli grandi segreti.
Marian aveva una storia di infanzia non del tutto felice in quanto la madre dopo aver avuto i primi tre figli, se n’è andata abbandonandoli. Il padre si è risposato ben tre volte senza mandare con continuità i figli a scuola. Ancora adesso con il padre ha dei rapporti quasi da conoscenti più che tra padre e figlia. È nata come me a Benin City ed è di etnia Edo e Ishan.

Marco: cosa faceva Marian.. lavorava..

Jocelyn: al tempo Marian lavorava a Stupinigi, un po’ fuori Torino. È un posto che se vuoi arrivarci devi prendere un “passaggio”. Io non lavoravo allora, perché non avevo un posto ed io, anche se in casa con Marian nessuno mi aveva chiesto soldi per l’affitto, sapevo di dover contribuire, lo sentivo come un mio impegno.
Per cui una volta chiesi a Francesco di portarci una notte ad Orbassano. Lui ci portò e nel posto dove ci fermammo trovammo subito dei clienti e iniziammo subito a lavorare. Ero contenta.
Il giorno successivo ritorniamo e oplà: troviamo delle altre ragazze di colore molto più vecchie di noi che ci vengono addosso molto arrabbiate (una di queste, prende una bottiglia di birra, la rompe sul marciapiede e ci minaccia). Nei fatti ci fanno andare via. Noi non sapevamo che il posto era già occupato.
Al che chiamiamo Francesco il quale viene e mentre ci riporta verso casa passiamo per Piazza Campanella. Io fermo Francesco e con Marian ci fermiamo due ore circa. Francesco ci fa notare che il posto (di fronte all’UPIM) è un po’ troppo all’aperto. Io dico che abbiamo bisogno di soldi e che comunque si vedrà. La notte abbiamo lavorato io e Marian, anche se era la prima volta. Tra l’altro era un posto dove non dovevo pagare nessuno. Da quella volta fino ad adesso quello è il mio posto e di Marian quando lei vuole venire. Perché Marian è stufa di lavorare sulla strada e fa una certa difficoltà a trovare dei clienti mentre per me è diverso. Non che io non sia stufa ma trovo i clienti con più facilità. Capisci.

Marco: quando io conosciuto Marian lei mi ha detto che abitava con un bianco…

Jocelyn: non era quel tempo lì, è venuto un po’ dopo, quando io ho deciso di andare ad abitare con Allen perché nella casa dove ero (con le sei ragazze) non andava bene. Litigavo con quasi tutte e pensa un po’: perché io pretendevo un po’ di pulizia e di ordine. Marian ha trovato la possibilità di cambiare casa attraverso il bianco. So però che non c’era nessuna relazione tra di loro. Se scopava con questo bianco si faceva pagare.
        Ad un certo punto (siamo all’inizio del 2005) litigo con Marian, la quale va dicendo in giro che io me la faccio con altri uomini oltre che con Allen. La cosa mi spiace e mi fa incazzare perché non era vero. Mi pare che una sera ci fossi anche tu in casa mia mentre discutevamo animatamente della questione io, Allen e una mia amica che lavorava in un Night Club a Milano. Ti ricordi.
        Il giorno stesso, piangendo, vado a casa del ragazzo di Marian dove sapevo che l’avrei trovata e gli propongo di fare un confronto con la ragazza di Milano. Lei rifiuta e così rompiamo i nostri rapporti per circa sei mesi. Dopo lei mi chiamava con un soprannome che ci eravamo dati l’un l’altra. È in lingua Ibo: “obiagelì” che grosso modo potrebbe significare “ragazza venuta al mondo per divertirsi”. Abbiamo ripreso a vederci, sul momento ero sulle mie, poi mi sono riaperta.
        Per farla breve, attualmente come tu vedi, Marian vive in casa con me. Michele (il bianco dove prima abitava) si è messo con una ragazza albanese e così l’ha invitata a trovarsi un altro tetto. La casa che Ibrahim (l’attuale fidanzato di Marian) gli aveva trovato per il momento non funziona e così io gli ho detto di portare le sue cose a casa mia.
        Per il momento Marian si guadagna il pane lavorando (in nero) presso una parruccheria di proprietà di una donna di colore proveniente dalla Costa d’Avorio, in Via Martorelli.

Il mio mondo attuale, in Italia


Marco: parlami ora del tuo “mondo italiano”, dei tuoi interessi….

Jocelyn: il mio mondo attuale è così composto:

·        il lavoro, di cui ho parlato prima;
·        la famiglia con la quale mantengo un rapporto quasi giornaliero, sfruttando l’occasione che mi dà l’abbonamento a Wind. Ovviamente ho fatto avere alla mia famiglia un altrettanto telefonino.
·        mi chiedi del mio rapporto con la religione. Ti ho detto prima che al mio paese frequentavo ogni domenica la chiesa, qui in Italia la mia conoscenza con le chiese frequentate dai neri come me, mi ha fatto venire dei forti dubbi. A partire dal fatto che i pastori dovrebbero aver frequentato determinate scuole. Qui invece capita che qualcuno di questi “pastori” ha alle spalle delle vicende di spaccio di droga, o hanno avuto più di qualche ragazza che lavorava per loro e poi scopri che diventano “pastori”! “Dio mi ha chiamato!” ti dicono. “Ma quale Dio?”.
·        e così una volta che vado in chiesa mi viene da pensare che sia tutto un business. Come quando in qualche chiesa il “pastore” ti dice: “oggi per le offerte, non mettete moneta, ma biglietti da cinque o dieci €”!. Io sono cristiana e sto cercando una chiesa che sappia “commuovermi”.
·        Pensa i “pastori” non vanno a lavorare, mentre per i giorni e gli orari delle funzioni potrebbero benissimo farlo. Mi pare che Dio non sia d’accordo con queste pratiche;

Marco: se è per questo, neanche i preti cattolici italiani, non lavorano… ma ora dimmi, quali sono le differenze maggiori tra la tradizione africana e gli usi e costumi dei bianchi, degli italiani..

Jocelyn: non so molto su queste cose perché tra l’altro sono venuta via che ero molto giovane dall’Africa. Mi pare che un aspetto sia sul cibo. Noi lo mangiamo con molto peperoncino, perché fa bene al sangue. E inoltre mangiamo tutto con le mani. Perché con le mani il cibo ha più gusto!
Un’altra differenza è sul modo di vestire. Però bada bene, si vede solo nelle occasioni importanti: alla domenica in chiesa, alle feste, in occasione della morte di qualche congiunto. Per il resto vestiamo come voi.
La grande differenza io la trovo invece nei comportamenti quotidiani. Noi africani siamo ancora dei bambini: ci piace scherzare, ridere, giocare e a qualunque età. Se tu conoscessi mia madre, è una che ancora gioca. A mio padre piaceva fare la lotta con me. Mentre tra voi bianchi, tra voi italiani c’è troppo serietà, siete troppo “rigidi”. Troppo attenti alla forma. Ma giocate un po’! Sporcate magari un po’ la casa. Tanto dopo la si può pulire.

Marco: ma dimmi, quali sono le “qualità” che tu apprezzi tra i bianchi, tra gli italiani…

Jocelyn: apprezzo la vostra attitudine al lavoro, all’ordine, alle cose ben fatte. Anche se devo dire che vi viene bene. A differenza di noi africani che facciamo quasi tutto con le mani, voi in quasi tutte le vostre attività vi fate dare una mano dalle macchine..

Marco: andiamo avanti, i film africani. Cosa ci trovi in quelle noiose telenovela…

Jocelyn: io personalmente non credo di essere così impallinata per i film africani. Sono sempre la stessa minestra. Molti mi annoiano. Mi piacciono i film americani, questo sì. Molto di più dei film italiani. Gli americani fanno i film senza risparmio, mentre voi italiani siete un po’ tirchi. Ed è evidente che non mi piacciono i film vecchi, degli anni ’80, per non dire quelli degli anni ’60 e ’70.

Marco: quando mi capita di venire a trovarti a casa, vedo sempre la televisione accesa e cosa vedi tu: un po’ le news, poi “C’è posta per te, Il grande fratello, Amici”, ecc. tutte trasmissioni che io abitualmente non vedo mai. Cos’è che ci trovi…

Jocelyn: a me piacciono molto. Per esempio “C’è posta per te”. In alcune puntate mi sono persino commossa e non mi dire che non interessano gli italiani. Io li sento commentare la trasmissione al mercato, sui pullman… così come mi piace assistere a “Scherzi a parte”, o alle “Iene”. Credo di essere una ragazza molto curiosa e mi pare di aver capito che seguendo quelle trasmissioni posso capire più da vicino i vostri usi, il vostro modo di vivere.
       Comunque, a differenza di altre ragazze africane che per motivi legati ai soldi sono “costrette” a vivere in coppia con altre ragazze, io quasi sempre ho vissuto in compagnia, però con ragazzi africani della mia età.
Essendo africana mi piace la musica, mi piace un sacco andare a ballare in discoteca e abitualmente frequento il Miami in C.so Potenza. È un locale gestito da africani per africani. Mi piace esibirmi con i miei vestiti ricercati (ne ho un sacco, molti dei quali acquistati in qualche boutique). Forse in questo c’è la ricerca di soddisfare un certo mio esibizionismo. Sono giovane, ho 24 anni. Che male c’è.
Ed essendo particolarmente fortunata frequento abitualmente (almeno due volte la settimana) le sale gioco del Bingo in Via Monterosa. Non ho mai fatto i conti di quanto lascio e quanto vinco, però sono convinta di essere in attivo…
Questo è il mio mondo che per fortuna mia è alquanto diverso da quello di una serie di ragazze che sono venute dal mio paese e specie quelle arrivate per ultime.
Penso io che non sia più vero che vengono in Italia e in Europa senza sapere cosa vengono a fare. Ricordo quando ero in Nigeria l’ultimo anno di scuola venne un signore con una ragazza a raccontare la vita che le ragazze di colore facevano in Italia e in Spagna;
Mi pare di aver capito che per molte c’è una responsabilità persino della famiglia nel farle partire alla ricerca dei famosi “soldi facili” che facili non sono per niente;
Come arrivano, dopo alcuni giorni o al massimo dopo una settimana, sono già per la strada e fortunate coloro le quali hanno la ventura di venire nei mesi estivi. Per una africana i mesi invernali sono una autentica mazzata. Non si è per niente preparate. E meno male che c’è sempre “l’amica che ti svezza”. Per non dire la paura per la polizia, per i carabinieri, e un eccetera molto lungo;
            Per mesi e mesi cosa conosce una di queste ragazze? Conosce ovviamente la casa dove abita (nei casi peggiori con la magnaccia), la fermata del pullman che la porta al lavoro, ovvero la stazione di Porta Susa o Porta Nuova, il mercato di Porta Palazzo e poco altro. Per dire, non conosce Via Garibaldi o Via Roma che da Porta Palazzo distano 10 minuti a piedi… pensa un pò te.

I soldi


Marco: parliamo ora della cosa più importante (almeno quella per la quale, quasi tutte voi dite, che sono i soldi!)..
 
Jocelyn: per la stragrande maggioranza delle ragazze che lavorano sulla strada i soldi guadagnati vanno grosso modo nelle seguenti direzioni:

·        pagare la “magnaccia” (per pagare il debito ci vogliono dai 2 a 3 anni);
·        pagare l’affitto di casa, la corrente, il gas, ecc.. – una gran parte di ragazze è costretta a cambiare casa ogni 6 mesi o una volta l’anno, questo grosso modo per due motivi: il primo legato alle decisioni del padrone di casa che non vuole più rinnovare il contratto di affitto, il secondo per morosità da parte della ragazza;
·        mandare i soldi in Africa alla famiglia (una parte delle quali si dimostrano mai sazie, ne vogliono sempre, per ogni occasione, giusta o sbagliata che sia, non immaginando neanche lontanamente i sacrifici e la vita delle loro figlie in Italia);
·        il rapporto con i soldi e il divertimento: io sono una ragazza giovane, ne ho consapevolezza e non voglio diventare una martire che fa sacrifici e quindi mi piace divertirmi e se posso vestirmi anche bene. Al tempo stesso però penso di essere abbastanza intelligente e penso al mio futuro, per cui al mio paese una mia sorella a cui sono molto legata, tiene un conto bancario intestato a mio nome.
·        Anche se non sono così sicura al cento per cento. In Africa ci sono un sacco di problemi per cui… speriamo in bene.
·        Io spero di avere nel più breve tempo possibile i miei documenti qui in Italia per poter aprire qui un mio conto bancario.
·        Io nei fatti non sono mai stata in bolletta da quando ho lasciato la mia magnaccia. Un po’ per il lavoro, un po’ per certe mie amicizie con una serie di uomini bianchi, penso di essere stata abbastanza fortunata.
·        Questo vale ovviamente per me. Ho l’impressione che per la stragrande maggioranza delle altre ragazze di colore che come me lavorano sulla strada non ci sia altrettanta consapevolezza, per cui trovandosi giovani, sole e lontano dalla famiglia (e dai suoi vincoli), e magari con alcuni periodi con dei soldi a disposizione, li prenda la sindrome delle “mani bucate”. È capitato anche a me.
Ovvero i soldi guadagnati sulla strada vanno a finire nella mani di qualche “fidanzato” che magari non è il magnaccia, ma nei fatti si fa mantenere. Io non sono d’accordo con questa pratica. Nella mia relazione di due anni e mezzo che ho avuto con Allen il rapporto era paritario. A partire dai soldi. 

Le violenze

Marco: quante, dove, come, denunciate alla polizia si, no – quali conseguenze fisiche e psicologiche…

Jocelyn: la prima esperienza di violenza su di me l’ho subita quando stavo ancora con la mia magnaccia. Non ne ho mai fatto nessun cenno, quasi con nessuno, tu sei l’unico a cui l’ho detto. Ero all’Iveco.
Mi viene vicino un mezzo di quelli che servono per trasportare le auto che hanno degli incidenti stradali, gli autosoccorso. Il giovanotto che era sopra mi chiede quanto fa, io glielo dico e lui mi fa salire. Come salgo immediatamente il tipo mi afferra selvaggiamente per i capelli, che allora portavo lunghi, e tenendomi, mentre io urlavo più dallo spavento che dal dolore, a tutta velocità si dirige verso Settimo e si ferma in un posto molto buio.
Poi, sempre tenendomi per i capelli, mi diceva: “dai succhialo” e io: “per favore lasciami andare i capelli.. adesso prendo il “guanto” e te lo faccio”, e lui: “no, fammelo senza” e io: “no, non voglio..” allora sempre con una mano tra i miei capelli, con l’altra lui si è spogliato e mi ha scopato senza “guanto” godendomi dentro.
Io piangevo, piangevo, piangevo. Lui riparte e mi fa cadere giù dal mezzo e mi faccio delle escoriazioni su quasi tutto il corpo.
Fatto sta che per parecchio tempo ero diventata molto triste. Non sapevo cosa fare, combattuta dalla paura di avere contratto una brutta malattia e non sapere dove andare in quanto la mia magnaccia esercitava su di me un attento controllo.
Sul lavoro ero altrettanto triste. Guardavo tutti i clienti nello stesso modo col quale mi ricordavo il giovanotto che mi aveva violentata.
Un giorno ero con una mia amica sul pullman che mi diceva che era andata all’ospedale per ritirare il “test dell’HIV”. E io: “ma la tua magnaccia ti ha lasciato andare a fare il test?”. E lei: “ci sono andata senza che lei lo sappia”, e io: “perché sei andata a fare il test?” e lei: “così, come una visita di controllo. Sai con il mestiere che facciamo è bene sottoporsi una volta ogni tanto ad un controllo di questo genere”.
Allora ho chiesto a lei di darmi l’indirizzo dell’ospedale al quale, all’insaputa della mia magnaccia, poi mi sono recata, dopo aver lavorato e nascosto vicino all’Iveco i soldi per fare il test.
Vado all’ospedale, mi fanno tutta una serie di visite. Mi danno appuntamento dopo due settimane. Io ritorno e mi consegnano il foglio con i risultati degli esami e del test sull’HIV. Peccato che fosse in italiano che allora io non capivo. Avvicino una infermiera che parlava un po’ l’inglese e questa mi traduce a voce gli esiti degli esami e del test. Cerca di tranquillizzarmi e poi mi chiede il perché della mia inquietudine. Allora io gli racconto l’episodio di violenza che mi era capitato. Lei si commuove e la vedo piangere.
Da quel momento in poi, sono stata più tranquilla. Però non sono più salita su uno dei quei mezzi. E ce ne sono parecchi che abitualmente vengono a trovarci. Io odio quegli autisti, anche se so che non tutti possono essere come quel giovanotto che mi ha usato violenza. Quando ci penso mi viene da essere triste per cui non voglio pensarci più.

Marco: mi hai raccontato altri episodi di violenza…

Jocelyn: adesso te ne racconto uno che si è risolto con io che paradossalmente faccio “violenza” ad un cliente.
        Mi carica su una macchina (un BMW mi pare fosse) un signore molto distinto, però piccolo e striminzito. Lo porto nel mio “postotranquilo”. Gli chiedo di pagarmi. È una regola per noi, quella di farsi pagare sempre prima. E lui chiudendo le serrature della macchina, tira fuori un coltellino e mi fa: “no, anzi tira fuori tutto dalla tua borsetta e consegnamelo” e io, per niente spaventata, ma certamente intimorita: “va bene, io ti lascio tutti i miei soldi, però tu lasciami andare senza farmi niente”.
        Al che mettendo le mani dentro la mia borsetta vengo a contatto con l’asticella del mio “mascara” che era ancora aperta. Velocemente la impugno e con la mano destra gliela faccio sentire sulla gola mentre con la sinistra gli afferro la mano dove teneva il suo coltellino. Me lo faccio dare. Lo faccio scendere dalla macchina sempre minacciandolo col l’asticella del “mascara” puntata sulla gola.
Intanto gli prendo le chiavi della macchina e intanto vedo arrivare un’altra macchina con una mia amica che veniva a scopare pure lei nel “postotranquilo”. La ragazza vuole sapere cosa è successo. Glielo racconto e lei allora ricatta il mio “cliente”: “adesso tu devi pagare la mia amica se non vuoi che chiami la polizia”. Fatto sta che tutto si è risolto con 50 €. Io consegno le chiavi e la mia amica prende la targa del mio cliente dopo di che il suo cliente ci porta sul nostro posto di lavoro.

Marco: e il terzo episodio..

Jocelyn: il terzo episodio di violenza mi è capitato sempre nei pressi di Piazza Campanella. Vengo caricata da una Alfa Romeo blu. Nel “postotranquilo” il tipo in questione subito estrae dalla tasca una pistola e io a differenza dell’altra volta ho paura. Me la rivolge vicino al mio naso. È un tipo robusto.
Mi fa: “dammi subito la tua borsetta e spogliati, voglio anche i tuoi vestiti”, e io: “cosa ne fai dei miei vestiti, ti do la mia borsetta, per favore, lasciami andare..” per tutta risposta lui mi ha rifilato uno schiaffone forte, forte e mi ha lasciata andare.
Ero solo con un reggiseno e un piccolo minislip. Faceva un freddo cane, nevicava. E così piano piano cammino fino su a Via Pietro Cossa dove stazionano delle altre mie amiche alle quali chiedo di darmi i loro vestiti e i soldi per prendere un taxi con il quale me ne torno a casa.
Che vita, mio caro Marco, che vita…