martedì 16 agosto 2011

Ancora semiclandestina

Marco: per le cose che hai raccontato ne viene che tu sei entrata in Italia con il passaporto. Elisabeth, la tua magnaccia te l’ha subito preso e tu sei rimasta senza nessun documento. Quando è che hai deciso di richiedere la domanda per “asilo politico” e perché…

Jocelyn: nel 2003, dopo essermi liberata della mia magnaccia, un mio amico di colore mi ha suggerito di fare la domanda per “asilo politico”. Mi ha anche suggerito di inventarmi una storia dolorosa, dove doveva comparire il motivo della mia fuga dalla Nigeria. Cosa che feci ascoltando una storia vera, di una ragazza che sul serio era dovuta scappare. Me la feci raccontare per benino.
Mi feci degli appunti e così andai prima in Via Cernaia, vicino a Porta Susa, a fare la prima coda. Da lì mi mandarono in Via Ventimiglia dove rilasciavano i permessi di soggiorno agli stranieri. E lì altra coda e altri appuntamenti dove per un po’ ci sono andata poi qualche appuntamento l’ho pure saltato. Ho dovuto prendere un avvocato e pagarlo che mi faceva un po’ di assistenza. Meno male che Francesco mi ha permesso di avere il suo indirizzo come mio domicilio.
        Poi sono stata a Roma presso gli Uffici Centrali dove rilasciano i permessi per “asilo politico”. Lì dovetti di nuovo raccontare la mia storia e mi diedero un ulteriore appuntamento a Torino. Nell’estate scorsa sono stata chiamata in Via Cernaia dove mi hanno detto che la domanda non era stata accettata.

Marco: ma dimmi un po’ come la vivi ancora adesso questa vicenda della tua mancata regolarizzazione…

Jocelyn: come vuoi che viva. La vivo male, perché tra l’altro è diversi anni che vivo in Italia e vedo diverse mie amiche che invece si sono regolarizzate.
        Non vedo l’ora di regolarizzarmi. Per cambiare la mia vita. Sono stufa di lavorare sulla strada. Di avere a che fare solo con persone che vengono con me perché sanno che faccio la prostituta. Vorrei avere una vita normale come qualsiasi altra ragazza italiana. Mi piacerebbe per esempio lavorare in un bar, o in un ristorante, o ancora di più in un negozio di abbigliamento.
        Mi piacerebbe poter andare a scuola dove magari insegnano questi lavori. E invece niente. Sempre clandestina. È proprio triste.

Marco: ok, però una prima cosa la potresti fare: il tuo passaporto per esempio..

Jocelyn: ho detto alla mia famiglia di provvedere a farmelo avere. Dalla Nigeria viene a costare di meno. Poi io so che per renderlo valido occorrerà che vada alla mia ambasciata a Roma. Però stai tranquillo che già lo sto facendo.


Marco: mi permetto di farti notare alcuni aspetti della la tua vita attuale, tu vivi di notte: lavori sulla strada, vai al Bingo verso le 11 di sera quando non più tardi, verso le 2 o le 3 vai al Miami, ecc. sono tutte abitudini che un giorno che andrai a lavorare in una fabbrica o in qualsiasi posto di lavoro normale… insomma, te lo scordi di fare questa vita…



Jocelyn: Marco, perché al Sabato o alla Domenica non devo pensare a divertirmi un po’? perché non dovrei riuscire a fare quello che altre ragazze come me, più fortunate, fanno già. E sì che anche loro hanno lavorato per anni sulla strada. Cosa hanno più di me? Io ti garantisco che se mi viene l’occasione della mia regolarizzazione io riesco a cambiare la mia vita.

Marco: e io, soldi permettendo, ti garantisco che se questo governo ripristina la figura dello “sponsor” (significa che per la regolarizzazione basterà che una persona garantisca per te), io sarò il tuo sponsor, ok…

Jocelyn: sul serio Marco, ti ringrazio proprio tanto. Tu sei bravo. Ma cosa vuoi che mi piaccia quello che ogni sera sono costretta a fare. Ti racconto un ultimo episodio che mi è successo nei primi giorni di Febbraio 2007: vado al lavoro e arrivo verso la mezzanotte e chi ti trovo sul mio posto di lavoro, due albanesi.
Dico loro che quello è il mio posto di lavoro. Al che loro con aria strafottente mi rispondono che in questa Italia loro si mettono dove più gli piace. Una di loro chiama per telefonino il loro capo il quale dopo un po’ arriva su un BMW e mi fa la faccia feroce. Al che io per niente impaurita: “non mi fai nessuna paura, di tipi come te ne ho già visti. Questo è il mio posto, da circa 4 anni. Rispondi: se io vado in Via Pietro Cossa dove stazionano le tue amiche albanesi pensi che loro mi tengano lì?” al che il tipo sgomma con la sua auto.
E così per quasi tutta la sera devo stare insieme alle due albanesi e quando si fermano le macchine dico ai clienti che loro due sono nel mio posto. Al che i clienti molto comprensivi se ne vanno lasciando a muso duro le due albanesi. Meno male che alla fine (sono quasi le 2 di notte) le albanesi si stufano e se ne vanno.
Marco, ti giuro, io non c’è l’avevo tanto con quelle ragazze. Ma dovevo difendere il mio posto di lavoro.
Ma pensa te che vita mi tocca fare.

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