lunedì 15 agosto 2011

L’ingaggio (per l’Italia)


Marco: raccontami ora il tuo “ingaggio” per l’Italia…

Jocelyn: tornata a casa mi sono accorta che le cose nella mia famiglia non andavano per niente bene. Mangiavamo una sola volta al giorno. Un grande casino. Una volta mi è capitato di andare da una mia amica e lì si parlava dei viaggi verso l’Europa e che cosa ci aspettava: fare le prostitute. A me la cosa non interessava, avevo imparato da mia sorella a fare i capelli, le treccine all’africana.
Un giorno torno a casa e trovo mio padre che mi dice che un suo amico ha la possibilità di farci arrivare in Europa, basta che noi lo vogliamo. Gli chiedo: “a fare che cosa,” perché io avevo sentito del lavoro di prostituta e del fatto che i bianchi volevano che le ragazze facessero sesso con i cani – mio padre: “questo mio amico ha una figlia che ha un laboratorio di parruccheria e ha bisogno di lavoranti. Evidentemente per due anni bisognerà che lavori gratis per pagare il viaggio, i documenti, ecc.”. Invece era una grande bugia che hanno detto a mio padre.
La cosa rimaneva tra me e mio padre. Mia madre era all’oscuro della vicenda. Avevo 18 anni. Però prima di partire, in famiglia ne parlammo anche con mia madre, e ricordo che una mia sorella ci disse che lei non era d’accordo per questa mia partenza. E io a rassicurarla che non andavo a fare la prostituta.
C’era molta tristezza, specie in mia madre e pure nel resto della famiglia. Tieni conto che la sorella, quella morta, per due mesi era andata in Svizzera, ed era stata espulsa dopo solo due mesi, però ci aveva raccontato che non aveva fatto la prostituta. Io stessa non lo facevo certo a cuor leggero, perché mi rendevo benissimo conto quanto mi sarebbe mancata la mia famiglia.
Ad un certo punto, però, prendo la decisione e parto per Lagos, però non vado da mia sorella e da mio zio, bensì dalla sorella di questo amico di mio padre e resto lì un mese, dopo di che parto con il mio passaporto (che loro avevano fatto) verso il Ghana e precisamente ad Accra, la capitale, ancora per un mese presso il Domie Hotel.

Marco: tu sapevi quanti soldi di debito dovevi a chi ti aveva fatto venire in Europa…

Jocelyn: no, perché non si era parlato di soldi per me. Io sapevo che per un periodo, non breve, avrei dovuto lavorare gratis nel laboratorio di parruccheria. Un po’ come una “schiava”, però sarei stata in Europa.
        Era Ottobre del 2001. Parto per l’Europa, faccio scalo a Londra e arrivo a Parigi dove mi fermo per quasi un altro mese. A Parigi un ragazzo nero del Ghana mi viene a prendere all’aeroporto. Sono rimasta quasi sempre nella casa dove ero ospitata.
Un uomo del Ghana, abbastanza anziano, mi faceva la corte e io lo lasciavo fare perché così lui mi comperava vestiti, valige, ecc. E’ chiaro che mi voleva portare a letto ma a me non piaceva. Una volta ci ha pure tentato, infatti un giorno mi porta in macchina verso un palazzo molto bello, che però quando lo vedo da vicino mi accorgo che è un Hotel, e lì allora mi incazzo e torno in macchina. Ma pensa te. Aveva quasi l’età di mio padre!

Marco: che tipo di sensazioni hai provato in questo tuo primo mese in Europa, a Parigi poi che è una bellissima città…
 
Jocelyn: per quel poco che ho potuto vedere ero affascinata da tutto quello che vedevo, ero contenta e pensavo: “sono in Europa, mamma mia, che bello che è qui, posso vivere come i bianchi, posso fare le foto, mandarle al paese, ecc.”. La cosa che mi aveva colpito di più era l’ordine e la pulizia delle strade, la luce durante la notte, i negozi pieni di ogni ben di Dio, dai vestiti alla frutta, ad ogni sorta di cibo. Un po’ come le GRA (sono delle zone speciali dove abitano i bianchi e i neri ricchi) a Benin City. Un vero paradiso. Arrivavo a pensare di essere morta e di essere entrata in Paradiso!
        Pensavo appunto come dice la Bibbia che tra i bianchi in Europa tutti fossero uguali, non come in Africa che c’erano pochi ricchi, ricchissimi e tantissimi poveri, poverissimi.

Marco: ma non hai avuto modo di pensare che la cosa non fosse esattamente così…

Jocelyn: a dirti il vero un dubbio mi era venuto. Nella casa dove abitavo ogni mattina tornavano due ragazze nere come me e vedevo come erano vestite (da prostitute) e da dove tiravano fuori i soldi, dalle calze, dalle scarpe, ecc.
        Mi avevano invitato ad andare con loro al lavoro: “così ti fai un po’ di soldi”. E io tutta convinta gli rispondevo: “io non sono venuta per questo lavoro che fate voi, io devo andare a Torino, in Italia, a fare la parrucchiera”. E loro: “eh.. sì.., poi telefonaci da Torino e dimmi cosa farai” e ridevano.  

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