lunedì 15 agosto 2011

In Italia

Marco: racconta delle prime sensazioni di quando arrivi in Italia, a Torino e con chi ti incontri…

Jocelyn: a ottobre del 2001 sono a Torino a Porta Nuova. Sono partita che ero triste, con le risate delle due ragazze nere di Parigi, nelle mie orecchie. Ho fatto un brutto viaggio e sono scesa alla stazione di pessimo umore. A Torino ho trovato un clima freddo, al che il mio umore è andato ancora più giù.
        Alla stazione c’era una ragazza, bella e affascinante, ad aspettarmi. Me ne sono accorta perché quasi subito mi si è avvicinata: “sei Jocelyn”. E io: “no, non sono Jocelyn”. E la vedevo che telefonava dicendo: “sono alla stazione, al binario dove è arrivato il treno da Parigi, però la ragazza non c’è”. E io sono stata lì quasi mezz’ora, ho mangiato un panino, pensavo: “ma questa è una prostituta” perché la vedevo pettinata e vestita come avevo visto le due ragazze di Parigi. “Qui finisce male per me” e dentro  di me piangevo. Poi ho pensato che ero sola, non sapevo dove andare, avevo pochi soldi per le mani, per cui… alla fine ho avvicinato io la ragazza e le ho detto che ero io la ragazza che lei cercava, Jocelyn.
        Immediatamente la ragazza mi chiede di dargli il mio passaporto. Al che, io, abbastanza contrariata gli dico di aspettare almeno che siamo a casa. Alla fine mi trovai senza nessun documento. Così come lo sono ancora adesso salvo che per la domanda di “asilo politico” che ho presentato in questura. Ma ne parleremo dopo.

Marco: ti ricordi come si chiamava quella ragazza, quanti anni aveva, da quando era in Italia…

Jocelyn: si chiamava Elisabeth, aveva 25 anni ed era in Italia da 5 anni. Il giorno stesso dopo aver scaricato le valige nella casa dove abitava, senza neanche farmi riposare, mi ha portato a fare i miei capelli. Io ero stanca morta. Il giorno successivo mi ha riportato nella zona vicino alla stazione di Porta Nuova dicendomi che dovevamo andare in un negozio. Io pensavo che fosse il negozio di parrucchiere, almeno così io speravo.
        Era invece un negozio di abbigliamento. Io chiedo a lei se il negozio è suo. Lei mi risponde che no. Siamo li, mi dice lei, per comperare i vestiti per il mio lavoro.
E lì mi è cascato il mondo in testa: ha cominciato a prendere dalle cassette dei vestitini tutti sexi, degli stivali con dei tacchi altissimi, (per me che non ho mai portato i tacchi!), il trucco, ecc.. e io che piangevo dentro prima e poi a dirotto quando siamo arrivati a casa dove lei abitava, all’inizio di Corso Palermo.
        Lei mi dice: “non te la prendere, e così per tutte la prima volta”. Alla sera è venuto un suo amico con una macchina e ci ha portato tutte e due sul lavoro. Vicino ad una grande fabbrica di cui si intravedeva il nome: Iveco. Pioveva e io ero mezza nuda. Con le tette quasi fuori e un giubottino da far ridere sopra una minigonna che più mini non si può!. Con un freddo cane e un sonno che non mi reggevo in piedi. Piangevo. Era Novembre. C’era un fuoco che le ragazze presenti avevano acceso, però a me non bastava.
        Che vita, Marco, non dormivo più salvo che per alcune ore al mattino, in quanto lavoravo durante il giorno, fuori Torino dove Elisabeth mi aveva portato in un posto dove non c’era lavoro perché in quel posto era stata da poco uccisa una ragazza di colore e la polizia non voleva nessuna.
Sulla base delle sue istruzioni: “quando vedi la Polizia o i Carabinieri, tu scappa”, io quella mattina sono scappata ben cinque volte, alla sesta volta non sono scappata più e alla Polizia ho detto piangendo: “portami al mio paese” e loro: “ma quale paese, torna a casa tua, qui non è possibile lavorare, se vuoi tornare al tuo paese, compra il ticket e te ne vai”, e io: “e chi mi da i soldi?”. Il tutto evidentemente in inglese con un poliziotto che lo parlava a stento.
E alla notte all’Iveco. Quando arrivavo a casa Elisabeth mi spogliava, mi prendeva tutti i soldi. Ho capito così che era lei la mia “magnaccia”.
Poi una volta lei ha portato a casa due ragazze più vecchie di me. Io avevo molta paura. Mi hanno fatto un piccolo taglio nella mano per prendermi del sangue, lo hanno messo nel piccolo contenitore del trucco, mi hanno fatto tagliare un po’ di peli della figa e delle ascelle e hanno messo il tutto in un contenitore, quindi mi hanno detto che alle prossime mestruazioni di raccogliere un po’ di sangue e di avvisarle. Sono quindi ritornate e avevano con se una gallina a cui hanno tagliato la testa per prendergli il sangue che usciva dal collo, poi hanno bevuto del gin e me lo hanno spruzzato in viso insultandomi e dicendomi che se non avessi pagato o avessi voluto andare dalla Polizia, sarebbe finita male per me e per la mia famiglia.


Marco: in pratica ti hanno fatto un voodoo… ma tu ci credevi…

Jocelyn: ci credevo e non ci credevo… mi avevano fatto tanta paura. Avevano minacciato di fare cose bruttissime alla mia famiglia.
E io non riuscivo a dire a mia madre ne a mio padre che facevo la prostituta. Sarebbe come spezzare a loro il loro cuore. Al telefono con mia madre riuscivo solo a dire che volevo tornare. Mia madre continuava a dirmi che se non mi trovavo bene era bene che io tornassi a casa.
Anche volendo non sarei riuscita a nascondere nessun soldo, in quanto quando arrivavo a casa Elisabeth mi rovistava dappertutto, anche nelle parti intime del mio corpo.
        Che vita, Marco. In pratica era una guerra continua.

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